Per uno scienziato, il laboratorio è come casa. Anzi non di rado è un luogo ancora più importante della propria abitazione, dove magari fare notte inoltrata per aspettare la fine di un esperimento che non può essere fermato e poi tornare la mattina presto ad analizzare i dati tanto attesi. E pazienza se per tutti gli altri la casa è un rifugio sicuro dalle intemperie della quotidianità, mentre per chi fa ricerca è più simile a un ostello, dove sostare per riposare e ripartire. Ma mettere in piedi un laboratorio non è affatto semplice: bisogna trovare i fondi per aprirlo, e in seguito per gestirlo e mantenerlo; bisogna scegliere i coinquilini, ovvero i colleghi, con cui condividere spazi e obiettivi, facendo attenzione a chi ci si mette, appunto, in casa.
Hope Jahren è una studiosa delle piante e docente di geobiologia all’Università delle Hawaii, e sa molto bene che cosa significa tutto questo per averlo vissuto in prima persona. Il racconto dell’odissea vissuta per l’apertura e la gestione del suo laboratorio, una storia che accomuna tantissimi scienziati in ogni angolo del mondo, è uno dei protagonisti di Lab Girl, libro allegato a richiesta con «Le Scienze» di maggio e in vendita nelle librerie per Codice Edizioni. Il libro ha anche un altro personaggio principale, quel mondo delle piante emerso tra 400 milioni e 500 milioni di anni fa dagli oceani per andare alla conquista delle terre emerse, che ha ammaliato e ancora oggi continua ad affascinare l’autrice, con una particolare predilezione per gli alberi.
Così, lungo questi due piani paralleli, il lettore può quasi vivere in prima persona l’avventura umana e professionale di questa scienziata di origini scandinave, cresciuta fin da piccola nel laboratorio di chimica del padre, un uomo che ha amato il proprio luogo di lavoro esattamente come
la figlia ama il suo ora, e che per 42 anni ha tenuto corsi introduttivi di fisica e scienze della Terra in una tranquilla università locale nel cuore rurale degli Stati Uniti.
L’altra importante figura nel plasmare la vita di Jahren è stata quella della madre, laureata in letteratura inglese, che le ha trasmesso il piacere della lettura e del giardinaggio, ovvero l’ha introdotta al mondo che oggi è la sua vita. Per quanto possa sembrare idilliaca, però, l’avventura dell’autrice è anche passata per sfide rischiose: la responsabilità di trovare il denaro da cui dipendono l’attività del laboratorio e la vita dei colleghi, nel contesto competitivo dei finanziamenti alla ricerca; l’essere donna in una comunità, come quella scientifica, per la stragrande maggioranza composta da uomini. Jahren tuttavia non si è abbattuta, anzi, è riuscita a raggiungere e a tenere ben saldo il suo obiettivo, forse anche grazie alle lezioni ricevute nel tempo dal mondo delle piante.
Come ama ricordare, solo il cinque per cento dei semi che cade a terra riuscirà poi a crescere, e di questi ultimi, solo il cinque per cento arriverà al primo anno di vita. Ecco perché i semi sanno aspettare, racconta l’autrice: la selezione a cui sono sottoposti è durissima. Nella maggior parte dei casi, un seme aspetta almeno un anno prima di cominciare a crescere; in alcuni casi, per esempio l’albero di ciliegio, si può arrivare addirittura a cent’anni. La pazienza quindi è uno degli atteggiamenti cruciali della vita, come suggerisce anche l’odissea di Jahren. Perché ogni albero rigoglioso è stato un tempo un seme in attesa.